25 febbraio, 2008
compito del 23 febbraio
La fine della sua vita fu per noi luttuosa, per gli amici triste, e persino per gli estranei e per chi non lo conosceva non passò sotto silenzio. Anche il popolino e la gente che qui aveva altro da fare e si aggirò intorno al suo palazzo e parlò di questo nelle piazze e nei circoli; e nessuno, udita la notizia della morte di Agricola, se ne rallegrò o se ne dimenticò subito. Accresceva la pietà la voce insistente che fosse stato eliminato col veleno: io non oserei sostenere che da parte nostra sia stato trovato alcun indizio. Per altro, durante tutto il corso della sua malattia, più spesso di quanto fosse consuetudine del principe attraverso le visite di interposte persone (cioè: di norma il principe si informava attraverso dei messi, e meno frequentemente che in questo caso), vennero e i liberti più influenti e i medici più vicini (al principe), sia che questo fosse indizio di preoccupazione o di indagine. Nel suo ultimo giorno di vita risulta che persino i singoli istanti del morente venissero riferiti da messaggeri a questo dedicati, mentre nessuno credeva che così venisse accelerata quella notizia che avrebbe poi dovuto ricevere con espressione contrita (Domiziano non vede l’ora che Agricola tiri le cuoia, ma sa anche che dovrà mostrarsi addolorato per la sua morte: si informa come se gli dispiacesse, in realtà ascolta compiaciuto la telecronaca dell’agonia…). Tuttavia indossò sul volto una maschera di sincero dolore, ormai al riparo dall’odio e in modo da dissimulare la gioia più facilmente della paura. Si sapeva con certezza che, letto il testamento di Agricola, con il quale indicò come coerede, insieme alla sua ottima moglie e alla sua devotissima figlia, lo stesso Domiziano, se ne rallegrò, come per un segno di giudizio di merito (endiadi: per un giudizio e un onore). Tanto ottenebrato e corrotto era il suo animo per le continue adulazioni, che non si rendeva conto che un padre coscienzioso non poteva indicare come erede se non un principe malvagio.
20 febbraio, 2008
MESSAGGIO/2
Stamattina mi è sfuggita una parola di troppo. Quindi, non volendo lasciare dietro di me messaggi ambigui, chiarisco. È vero che domani torno qui, per ricominciare un altro ciclo di terapia (che mi farà diventare un po' più irritabile e insofferente...). È vero che nel giro di un mesetto, ma non so quando, dovrò subire (non trovo altro verbo) un ricovero qui...
NON è vero (ma è possibile) che debba interrompere anzitempo l'anno scolastico. Voglio portarvi comunque preparati all'esame, e ci dobbiamo sbrigare. Punto.
Riposatevi -quel poco- quando la pressione si allenta, trattenete il fiato quando il livello dell'acqua si alza, e godete, se possibile, di quel che di bello hanno i libri da offrire.
NON è vero (ma è possibile) che debba interrompere anzitempo l'anno scolastico. Voglio portarvi comunque preparati all'esame, e ci dobbiamo sbrigare. Punto.
Riposatevi -quel poco- quando la pressione si allenta, trattenete il fiato quando il livello dell'acqua si alza, e godete, se possibile, di quel che di bello hanno i libri da offrire.
MESSAGGIO PER E.A.
IL TUO CELLULARE HA PROBLEMI DI CONNESSIONE CON IL MIO!!
SE DOVETE COMUNICARE CON ME
POTETE FARLO MA
USANDO UN ALTRO STRUMENTO!
LA' DOVE VADO DOMANI NON C'E' CAMPO!!!
(questo sembra proprio un messaggio cifrato...)
CONSIGLI
MARCIA DI AVVICINAMENTO ALLA PROVA DI SABATO 23:
- Versione n. 417;
- Tradurre (e successivamente guardare le note) della lettera 101 di Seneca a p. 115 della vostra edizione del Dbv;
- Niente panico!!
COMPITO DI GRECO DEL 20 FEBBRAIO
Oltre a ciò, riflettevamo sul fatto che anche i bovari governano i buoi, e gli allevatori di cavalli i loro animali, e, insomma, tutti coloro che si chiamano “pastori” verisimilmente potrebbero essere ritenuti governanti di quegli animali di cui sono a capo: dunque ci sembrava di osservare che tutte queste mandrie sono desiderose di ubbidire ai loro padroni più di quanto gli uomini ubbidiscano ai loro governanti. Infatti le mandrie vanno dove le spingono i pastori, e pascolano nei luoghi dove essi le guidano, e si tengono lontane da quelli dai quali essi le trattengono; e infine consentono che i pastori sfruttino i loro prodotti a loro piacimento. Dunque mai abbiamo sentito notizia di un gregge che si sia ribellato al proprio pastore al punto da non ubbidirgli né consentirgli di trarre giovamento dai propri prodotti, ma, anzi, le mandrie sono più aggressive nei confronti di qualunque estraneo che nei confronti di coloro che le comandano e traggono da esse vantaggio: al contrario, gli uomini non si ribellano contro nessuno con più forza che contro questi che si rendono conto che tentano di dominarli.
VERSIONE DA TACITO, HISTORIAE
Versione n. 392
Vitellio, una volta conquistata la città (da parte dei soldati di Vespasiano), si porta nell’appartamento della moglie passando per la parte posteriore del palazzo, con lo scopo, se fosse riuscito ad evitare la luce del giorno rimanendo nascosto, di rifugiarsi a Terracina, presso le sue coorti e il fratello. Poi, a causa dell’indecisione del suo carattere, ritorna verso il palazzo, abbandonato e deserto, dileguatisi ormai anche i più umili degli schiavi, o, schivando alcuni il suo arrivo (cioè, lo vedono e svicolano). Gli incutono terrore il deserto e il silenzio del luogo (ma quel tacentes, “taciti”, non è proprio possibile renderlo…); forza porte chiuse, rabbrividisce di fronte a stanze vuote (qui siamo in un film dell’orrore; Shining?); e, stanco di quel vagare inutile e mentre tentava ancora di nascondersi, viene trascinato alla luce (che in Tacito non c’è: ma ci sta bene) dal tribuno della coorte Giulio Placido. Le mani furono legate dietro la schiena: con la veste strappata, osceno spettacolo, veniva condotto (imperfetto: la processione dura un bel po’…) in mezzo all’applauso di molti, e nessuno versava una lacrima. Non fu chiaro se un soldato germanico, andandogli incontro, aggredì con un colpo ostile Vitellio oppure un tribuno: amputò un’orecchia del tribuno e subito fu trafitto. Vitellio, costretto da minacciosi pugnali ora a sollevare il volto e ad offrirlo alle umiliazioni, ora a contemplare le sue statue che venivano abbattute (part. pres.: come in un film, vedi le statue mentre crollano al suolo. Magari al rallentatore), alla fine fu trascinato fino alle scale gemonie. Si udì (da parte sua) una sola parola che non fosse segno di un animo degenere, quando ad un tribuno che lo insultava rispose che comunque era stato anche il suo comandante (no imperatore!!!); e poi stramazzò, vittima delle ferite infertegli.
Io mi diverto da morire con Tacito. Voi no??
Vitellio, una volta conquistata la città (da parte dei soldati di Vespasiano), si porta nell’appartamento della moglie passando per la parte posteriore del palazzo, con lo scopo, se fosse riuscito ad evitare la luce del giorno rimanendo nascosto, di rifugiarsi a Terracina, presso le sue coorti e il fratello. Poi, a causa dell’indecisione del suo carattere, ritorna verso il palazzo, abbandonato e deserto, dileguatisi ormai anche i più umili degli schiavi, o, schivando alcuni il suo arrivo (cioè, lo vedono e svicolano). Gli incutono terrore il deserto e il silenzio del luogo (ma quel tacentes, “taciti”, non è proprio possibile renderlo…); forza porte chiuse, rabbrividisce di fronte a stanze vuote (qui siamo in un film dell’orrore; Shining?); e, stanco di quel vagare inutile e mentre tentava ancora di nascondersi, viene trascinato alla luce (che in Tacito non c’è: ma ci sta bene) dal tribuno della coorte Giulio Placido. Le mani furono legate dietro la schiena: con la veste strappata, osceno spettacolo, veniva condotto (imperfetto: la processione dura un bel po’…) in mezzo all’applauso di molti, e nessuno versava una lacrima. Non fu chiaro se un soldato germanico, andandogli incontro, aggredì con un colpo ostile Vitellio oppure un tribuno: amputò un’orecchia del tribuno e subito fu trafitto. Vitellio, costretto da minacciosi pugnali ora a sollevare il volto e ad offrirlo alle umiliazioni, ora a contemplare le sue statue che venivano abbattute (part. pres.: come in un film, vedi le statue mentre crollano al suolo. Magari al rallentatore), alla fine fu trascinato fino alle scale gemonie. Si udì (da parte sua) una sola parola che non fosse segno di un animo degenere, quando ad un tribuno che lo insultava rispose che comunque era stato anche il suo comandante (no imperatore!!!); e poi stramazzò, vittima delle ferite infertegli.
Io mi diverto da morire con Tacito. Voi no??
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