Versione n. 320
Dal momento che anche grazie alla propria attenzione alcuni diventano migliori, come mai questi, dopo che ( o anche, “che”, il quale avrebbe funzione relativa) si sono presi un maestro e più anziano ed esperto di molte cose, e che alcune cose le ha a sua volta apprese, altre le ha trovate lui stesso (auton va con eurekota; i due tà sono c. ogg.) non spiccherebbero ancora di più e rispetto a loro stessi (= “al loro livello di partenza”)? [1][1]
Non solo sulla base di queste considerazioni, ma anche dalle altre tutti quanti potrebbero a buon diritto meravigliarsi dell’ignoranza di coloro che osano disprezzare così, senza riflettere, la “filosofia”, in primo luogo se, pur sapendo che tutte le attività e i mestieri si apprendono grazie alla cura e all’esercizio (plur. nel testo), ritengono che tutto ciò non abbia nessuna efficacia per il conseguimento della conoscenza.
[1]
[1] Il senso è: come è possibile pensare che, dal momento che persino coloro che si occupano da soli della propria formazione ottengono dei miglioramenti, non superino se stessi coloro che si affidano alle cure di un bravo insegnante? È una demanda retorica la cui risposta è così ovvia che Isocrate non impiega l’ottativi potenziale, ma un indicativo cui l’an dà valore irreale.
Versione n. 321
Infatti, se è vero che affermerebbero (il soggetto è “i detrattori della paideia”) che nessun corpo è così scarsamente dotato che (relativo), esercitato e lavorando (duramente) non diventerebbe migliore, mentre pensano che le menti, per loro natura superiori (“per natura” è implicito in phyo; ameinon è comp. dell’avverbio) al corpo, non diventano affatto più valide una volta educate e una volta che abbiano trovato l’esercizio conveniente, e ancora, se riguardo ai cavalli, ai cani e alla maggior parte degli animali, vedendo che alcuni conoscono (posseggono; attenzione: echontas regge techas; le due parole finiscono nello stesso modo, ma una e femminile, l’altra un participio maschile) delle tecniche attraverso le quali rendono alcuni (animali) più coraggiosi, altri più miti, altri ancora più assennati, ritengono che per l’animo umano non sia stata ancora trovata una tale forma di educazione che potrebbe essere capace di guidarli verso uno di questi obiettivi a cui (guidano) le bestie (c’è attrazione del relativo: onper è attratto da touton , ma dovrebbe essere epi a, dove a è acc. del pronome relativo), ma ci hanno accusato di una tale sciagura che concorderebbero sul fatto che ciascuna delle cose esistenti grazie alla nostra intelligenza potrebbe diventare migliore e più utile, mentre osano pensare che proprio noi, che abbiamo questa intelligenza grazie alla quale stimiamo di più ogni cosa, non potremmo essere per nulla d’aiuto agli altri per il (raggiungimento) della ragionevolezza.
Versione n. 322
La cosa più straordinaria di tutte è che ogni anno pur vedendo negli spettacoli che i leoni sono più mansueti (diakeimai + avv. = “essere in un certo modo”; lett: “essere in modo mansueto”) nei confronti dei loro addestratori che alcuni uomini verso coloro che fanno loro del bene, e che gli orsi femmina vengono portati in giro e invecchiano e imitano le nostre abilità (sta parlando degli orsi ammaestrati, per esempio, a ballare) né da questi esempi riescono a riconoscere quanta efficacia abbiano l’educazione e l’esercizio (lett. sono c. ogg. di gnonai, ma sono “anticipati” rispetto alla relativa), né che queste cose (cioè, educazione ed esercizio) potrebbero essere d’aiuto più rapidamente alla nostra natura che alla loro (delle bestie); così non so se uno più a ragione ammirerebbe gli atteggiamenti miti che si manifestano nelle più feroci tra le fiere degli atteggiamenti incivili che sono presenti negli spiriti di tali uomini.
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